È incostituzionale la norma della regione Puglia sui termini anticipati entro i quali i sindaci devono dimettersi per rimuovere l’impossibilità a candidarsi a presidente della Regione e a consigliere regionale.
Lo ha stabilito la Corte Costituzionale. La legge pugliese, soprannominata “anti-sindaci” prevedeva le dimissioni dei primi cittadini che intendono candidarsi alle regionali, 180 giorni prima della fine della legislatura. La Corte ha ritenuto che tale disciplina è “irragionevole e sproporzionata, e lesiva del diritto di elettorato passivo, in violazione degli articoli 3 e 51 della Costituzione”.
“La sproporzione – ha osservato la Corte – deriva innanzi tutto dalla notevole anticipazione del termine stabilito dal legislatore regionale rispetto al giorno fissato per la presentazione delle candidature, mentre altre normative regionali prevedono termini molto più contenuti. La sproporzione della norma deriva anche dal fatto che essa si applica indistintamente a tutti i sindaci, mentre altre leggi regionali limitano l’ineleggibilità ai sindaci di comuni con popolazione superiore a certe soglie”.
“Giù le mani dai sindaci. Lo abbiamo detto dal minuto dopo l’approvazione di quell’emendamento presentato, che altro non era se non un tentativo disperato di impedire, di fatto, agli amministratori locali di competere ad armi pari alle elezioni regionali e la Corte Costituzionale oggi lo ha ribadito, mettendo un pietra tombale su questa indecorosa pagina istituzionale – dichiara il sindaco di Bari, Vito Leccese, che all’indomani dell’approvazione dell’emendamento alla legge di bilancio regionale che imponeva ai sindaci che intendessero candidarsi alle prossime elezioni regionali di decidere 180 giorni prima del voto, si era fatto promotore di una serie di iniziative contro la norma -. Sono passati diversi mesi dall’approvazione dell’emendamento, e da più parti si sono levate voci per denunciare l’incostituzionalità di questa norma, lesiva dei diritti dei sindaci, alla pari dei cittadini italiani, cui l’art. 51 dalla Costituzione riconosce piena libertà di accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza e sulla base dei soli requisiti di legge. Ma in questo tempo il Consiglio regionale non ha trovato né la voglia né la maggioranza per abrogarla. Oggi ci ha pensato la Corte costituzionale, sancendo di fatto il fallimento di questo tentativo, piuttosto maldestro, di alterare il gioco eliminando per legge gli avversari potenzialmente più scomodi, quelli più vicini alle comunità degli elettori”.

