“Ero davanti all’aula della sparatoria due minuti prima che il killer facesse fuoco. Quello che ho vissuto, dopo, è un insieme di paura e angoscia che non posso spiegare a parole”. Sono queste le parole di Antonio Furleo Semeraro, studente 18enne della Brown University originario di Fasano. Sabato pomeriggio è avvenuta una sparatoria nel campus dell’ateneo della Ivy League all’interno dell’edificio di ingegneria Holley, il bilancio è tragico: 2 morti e 9 feriti
“Avevo finito di seguire le lezioni della mattina e avevo fame – le parole a La Repubblica -. Sono passato davanti al Barus & Holley, l’edificio dove ci sono sia aule che laboratori in cui il killer ha sparato. Non avevo ancora iniziato a mangiare quando ho sentito un certo trambusto e il mio telefono ha iniziato ad avere notifiche a raffica perché i miei compagni mi mandavano messaggi per chiedere dove fossi e se stessi bene. Erano le 16,22 e c’era appena stata la sparatoria”.
“La notizia delle vittime è arrivata immediatamente. Qui alla Brown abbiamo un social simile al vecchio Twitter che condividiamo noi studenti, accessibile solo a noi, in cui ci scambiavamo informazioni in diretta – ha aggiunto -. Qualcuno ha scritto anche di aver riconosciuto nella sagoma dell’assalitore quella di una guardia giurata che di solito staziona in una delle biblioteche, e questo ovviamente è stato riferito alla polizia. Quando è entrato nell’aula dove ha sparato, un’aula che io frequento abitualmente, ha urlato qualcosa che nessuno è riuscito a capire, e ha fatto fuoco per poi scappare. Tra l’altro, qui le misure di sicurezza sono incredibili, ognuno di noi ha una tessera per accedere in tutti i luoghi, solo l’edificio di Ingegneria è un po’ più scoperto. Chi ha agito sicuramente lo sapeva”.
“La polizia universitaria è intervenuta subito. Hanno chiuso tutte le porte della mensa e ci hanno detto di stare a terra. Nel frattempo, arrivavano via chat notizie dagli altri edifici del campus, che è stato blindato. Siamo entrati in lockdown. Dopo circa mezz’ora ci hanno detto che la mensa non era sicura perché c’erano grandi finestre e ci hanno fatti scendere nel seminterrato, che è poi il deposito. Siamo stati lì fino alle 22 – racconta -. Eravamo stravolti, uno stato di shock che non credevo possibile vivere. Ci hanno portato acqua e biscotti, poi gli addetti alla mensa hanno cucinato razioni. Nel frattempo erano arrivati nel campus 400 agenti Fbi, elicotteri che pattugliavano l’area a caccia dell’assassino che era in fuga. Sapere che poteva succedere di nuovo, vedersi circondati da poliziotti con i fucili spianati, e sapere di dover per forza rimanere lì, mi ha riempito d’angoscia, davvero”.
“I poliziotti nella notte ci hanno detto che dovevamo andare in un posto più sicuro per essere tutti nello stesso luogo. Ci hanno portato nella palestra più grande della Brown. Siamo stati tutti insieme lì, migliaia di studenti e dipendenti, fino alle tre di notte, quando ci hanno scortato nei nostri dormitori, con l’ordine tassativo di non uscire per nessun motivo dalle nostre stanze – conclude -. Ho sentito i miei genitori, ho fatto in tempo ad assicurargli che stavo bene e loro mi hanno detto di seguire in tutto ciò che mi dicevano di fare lì, e poco dopo il mio cellulare si è scaricato. Ci hanno appena comunicato che il semestre si è concluso, che gli esami e le lezioni sono state sospese e che possiamo tornare alle nostre case per stare al sicuro. Così ho prenotato subito un biglietto areo e partirò da Boston per l’Italia. Sarei dovuto partire il 21 dicembre per le vacanze di Natale ma dopo quello che è accaduto non vedo l’ora di essere a casa. Se tornerò alla Brown? È il posto dove ho scelto di costruire il mio futuro. Certo. È il posto dove ho scelto di costruire il mio futuro. È bruttissimo pensare che dei ragazzi della mia età abbiano perso la vita mentre studiavano. Ma non farò vincere la paura, anche per loro”.

