Pusher giovanissimi, assodati da Giuseppe Lacalendola, referente del clan Capriati a Putignano, tramite un breve colloquio in cui si spiegava che per fare questo lavoro ci voleva ordine e disciplina e da cui si traeva un ottimo guadagno. È questo quanto emerge dall’inchiesta che ha portato a 67 misure cautelari nel clan di Barivecchia, con a capo il boss Filippo Capriati che, nonostante in carcere, tirava le fila del giro di droga nelle mete turistiche del barese grazie alle videochiamate con i suoi affiliati.
Su 104 persone indagate, come si evince da Repubblica, sedici hanno meno di 30 anni e la posizione di tre minori è al vaglio della Procura competente. Tra questi spiccano “i figli d’arte” come Michele Recchia (figlio di Carmelo) e anche a Giovanni Genchi (figlio di Francesco), entrambi 24enni. Quest’ultimo, dopo la morte del padre, aveva avuto un ruolo apicale nell’organizzazione, come riscuotere il denaro dai pusher di strada e poi portarlo a Carletto Dilena, il reggente del clan di Bari Vecchia durante la detenzione del capo Filippo Capriati. Dalle indagini è emersa la spregiudicatezza dei pusher. Due di loro, di 26 e 20 anni, avrebbero tagliato l’eroina con veleno per topi per colpire un acquirente insolvente loro coetaneo.
Tra gli indagati anche delle donne, come la moglie di Filippo Capriati, Angela Giammaria che metteva in contatto gli affiliati col marito grazie alle videochiamate che solo lei poteva fare. Un altro nome è quello di Sara Gilberti, moglie di Giuseppe Labrocca che prelevava la droga, la confezionava, la cedeva e poi riscuoteva. “Svolgeva una funzione vicaria del marito” sottolineano i pm. Tra le donne spunta anche il nome di Maria Colella, 29enne figlia dell’ex vice sindaco di Polignano, finito ai domiciliari lo scorso anno per presunti appalti truccati. Lei, compagna di Carmelo Recchia, avrebbe gestito insieme a lui il traffico di stupefacenti a Polignano. In una telefonata con Giuseppe Labrocca, lei cercava di negare di aver continuato con il traffico a causa della situazione di suo padre, ma la giudice ha ritenuto che le prove a suo carico fossero schiaccianti ordinandone l’arresto in carcere.
Un traffico di stupefacenti che poteva fruttare anche 1500 euro al giorno, visto che la marijuana veniva venduta a 10 euro al grammo, l’eroina a 20, la coca a 60 per un grammo e a 30 per la mezza dose. Usavano nomi in codice per le sostanze, ma anche per i capi e le forze dell’ordine.

