Bari, 4 ambulanze del 118 inviate su un lieve malore. Urla contro i soccorritori: “Siete in ritardo andate via buffoni”

La situazione sta letteralmente sfuggendo di mano e senza un intervento risolutivo, essere soccorsi dal 118 barese continuerà a essere un terno al lotto. Ciò che è accaduto nel pomeriggio di oggi sarebbe da non credere, non fosse tutto assolutamente vero. Una giovane donna di 28 anni ha un malore nella scuola Vivante, mentre partecipa a un corso.

Da quel momento parte la ruolette russa al telefono: provare a mettersi in contatto con la centrale operativa del servizio di emergenza-urgenza alle dipendenze del Policlinico, mentre tutto il resto è coordinato dalla Asl. Fatto più unico che raro nel mondo, denunciato mille volte in passato. Le notizie sono abbastanza confuse e non coinciderebbero in alcun modo con la situazione trovata dagli operatori del 118. Sul posto vengono inviati ben 4 mezzi (tre ambulanze e un’automedica), dirottandoli al Vivante nonostante fossero impegnati su altri interventi, anche da codice rosso.

A scuola arrivano l’ambulanza della Postazione di Palo del Colle, quelle di Casamassima e del San Paolo, oltre all’automedica Bari 1. Uno dei medici allertati è già alle prese con un paziente grave alla Rsa Club del Nonno. Inizialmente, tanta è la confusione, che sarebbe stato dato l’ordine di inviare l’ambulanza al Vivante, lasciando il medico da solo nella Rsa. Un altro equipaggio di quelli dirottati all’istituto scolastico è su un paziente alle prese con un’ostruzione delle vie respiratorie a causa di un boccone andato di traversa.

Sul posto è uno stillicidio, la tensione è alle stelle e un rappresentante della Protezione Civile alza la voce per sottolineare quanto succede. Dal balcone la gente indignata urla all’indirizzo degli operatori del 118: “Buffoni andatevene, ora non servite più”. Secondo quanto siamo riusciti ad apprendere – la notizia non è confermata – la centrale operativa avrebbe riferito al personale allertato che la ragazza sarebbe stata addirittura defibrillata. In realtà alla paziente alcuni astanti avrebbero effettuato un principio di massaggio cardiaco nonostante la giovane fosse provata, ma vigile.

Alla fine la paziente è trasportata in Pronto Soccorso con un codice verde. Sembrerebbe che il medico distratto dal codice rosso al Club del Nonno non avrebbe neppure ricevuto il cosiddetto allert, ovvero il messaggio che consente di tracciare l’intervento: chiamata, arrivo sul posto, ripartenza e chiusura. Ormai non è più solo questione di trovare responsabilità, ma di rifondare un sistema inadeguato, che rischia costantemente di mettere a repentaglio la vita dei cittadini in difficoltà, convinti che chiamando il 118 possano ricevere l’assistenza medica più efficace nel minor tempo possibile.

Adelfia, ex farmacista Filomena Losurdo morta in casa. Trovato un diario: si indaga per istigazione al suicidio

Filomena Losurdo, ex farmacista 80enne, è stata trovata morta ieri mattina ad Adelfia. A ritrovare il corpo dell’anziana nell’abitazione in cui viveva da sola erano stati i figli. La casa si trova all’ultimo piano della palazzina che al piano terra ospita la farmacia di cui era titolare, su corso Umberto I.

Inizialmente si era pensato all’incidente domestico, ma i Carabinieri nell’appartamento hanno ritrovato un diario su cui la donna aveva scritto i particolari di litigi con alcune persone. Si tratterebbe di un elemento importante ai fini dell’accaduto e così la Procura di Bari ha aperto un fascicolo per istigazione al suicidio a carico di ignoti.

Il cadavere dell’ex farmacista, riverso sul pavimento, presentava una vistosa ferita alla testa. La prima ipotesi era quella che potesse essere caduta battendo la testa al vicino divano. L’incarico di eseguire l’autopsia sarà affidato lunedì prossimo al medico legale Francesco Vinci e al tossicologo Roberto Gagliano Candela. Sul posto erano intervenuti il medico legale, i Carabinieri e il pm di turno Gaetano De Bari.

 

Bitonto, 65 gatti in casa: l’animalista Rizzi e il delirio da passerella

Devo ammetterlo, prima del suo tardivo intervento sul caso dei gatti di Bitonto, non avevo neppure idea di chi fosse il noto animalista trapanese Enrico Rizzi. Sono certo che in egual modo neppure lui conoscesse me e quintopotere.it, il giornale che cita costantemente per documentare il suo punto di vista su quanto accaduto ai “poveri” gatti. Eppure molti nostri lettori e suoi followers hanno creduto che in qualche modo fossimo legati. Lui è un animalista, io un giornalista. A entrambi non piacciono le cose storte, ma in questo caso tra noi c’è una colossale differenza: il racconto. Lui è intervenuto a distanza, citando noi, qualche video amatoriale girato dal cittadino qualunque e i colloqui telefonici con questo o quel politico. Noi, invece, siamo andati sul posto per capire fino in fondo cosa succede (La gestione del canile e le sue condizioni sono un’altra storia e ci torneremo).

Picchiamo duro, chi ci legge lo sa e lo facciamo non meno dell’animalista. Anche io, come Rizzi, sono stato condannato per diffamazione. Anzi, credo di essere coinvolto in molti più procedimenti penali di quanti lui possa immaginarne. Non è un segreto, basta cliccare qua e là su google per rendersene conto. Ciò che mai faremo, a differenza del noto animalista, è trasformare un fatto pubblico in passerella personale. L’acclamazione ricevuta durante il trasferimento dei gatti è solo gratitudine per aver cercato risposte durante i mesi in cui abbiamo tenuto sulle spine le istituzioni pubbliche.

Rizzi, a torto, è convinto di avere una tale influenza da aver convinto le istituzioni ad accelerare i tempi della risoluzione del problema, sempre che il problema sia stato effettivamente risolto. È convinto di avere un peso specifico talmente rilevante da essere stato contatto dalla Questura, con l’obiettivo di seguirne gli spostamenti durante il suo soggiorno a Bitonto. Tutto giusto, non fosse che il suo primo post su Facebook è di domenica scorsa. Prima di allora non conosceva neppure la situazione dei gatti in via Ugo La Malfa. Un post pubblicato rilanciando il nostro pezzo, due giorni dopo la Conferenza di Servizi annunciata qualche tempo prima ai nostri microfoni dalla dottoressa Dimundo, commissario capo della Polizia Locale di Bitonto.

Già due giorni prima del post indignato, le istituzioni avevano deciso quando e come intervenire. I tempi della burocrazia, della legge, spesso delle istituzioni e della politica non corrispondono a quelli dell’uomo, ma ci sono e nella maggior parte dei casi non si può fare diversamente. Tante volte il lavoro non si vede, ma c’è. Un lavoro misto alla frustrazione di dover agire non come il cittadino qualunque, ma come rappresentante di un’intera comunità. Andare sul posto quando si fa una denuncia è fondamentale, anche per evitare grossolani errori.

A detta di Rizzi, infatti, la presidente della cooperativa che gestisce la struttura dove sono stati ricoverati i gatti, che di cognome fa De Mundo, sarebbe la sorella della commissario capo della Polizia Locale Dimundo. Il delirio da passerella fa perdere lucidità. In tutti i discorsi postati finora, in attesa della sua venuta manco fosse il Messia, non ho ascoltato un solo riferimento alla famiglia, evidentemente con grossi problemi, che accudiva i gatti. Sì, perché a modo loro i gatti erano accuditi. Ai componenti di quella famiglia adesso va tutta l’attenzione, il sostegno.

I gatti, infatti, sono in una stanza di circa 70 metri quadri in attesa di essere visitati, sterilizzati e vaccinati prima di essere dati in adozione. Insomma, una soluzione temporanea e certificata dalla Asl di Bari. Molti degli animali, infatti, sono già stati richiesti da numerosi cittadini. Ai gatti, che vivevano per strada o in campagna prima di essere raccolti e portati in casa, sono state destinate ingenti risorse pubbliche. Tra accalappiamento, sterilizzazione, vaccini e compagnia postando, si spenderà circa 150 euro ciascuno. Secondo l’ultimo calcolo, lo ricordiamo, sarebbero stati 65.

La stanza è di appena 70 metri quadri, persino più piccala dell’appartamento in cui erano detenuti in condizioni igieniche pietose in compagnia di cinque persone. Rizzi non lo può sapere perché, al netto di qualche immagine, in quella casa non ci è mai entrato, non ha respirato l’odore di pipì, non ha visto le condizioni degli arredi e dei muri, non ha ascoltato la disperazione degli inquilini, ma soprattutto non ha avuto modo di parlare con Katia, sua sorella e suo fratello, con il ‘papà e con la mamma, deceduta durante il paziente racconto delle varie fasi di questa storiaccia. Non ha neppure rischiato di essere aggredito né ha dovuto spiegare a muso duro le sue ragioni alle autorità.

Rizzi è convinto, verrà comunque a Bitonto per andare dai Carabinieri a presentare un esposto. Speriamo che la sua presenza sia costante anche in futuro, in modo da documentare le sorti dei gatti e della famiglia nel corso dei mesi futuri. Un lavoro faticoso e certamente meno appariscente rispetto alla visibilità che si può avere entrando in gamba tesa sul finire di una storia. Può darsi che ci siano delle responsabilità, oppure no. Qualcuno può aver sbagliato, di sicuro l’unico che non ha finora commesso errori è proprio Rizzi, essendosi interessato della questione con netto ritardo rispetto alla risoluzione individuata dalle istituzioni. Non sappiamo se il Sindaco di Bitonto alla fine risponderà con una dichiarazione ufficiale a tutte le accuse mosse finora, ma di sicuro Rizzi dovrà essere trattato come un qualunque altro cittadino che chiede spiegazioni, con il sacrosanto diritto di averle nei tempi e nei modi previsti.